Partiamo dalle revenue e iniziamo dall’elemento basilare: l’occupancy rate. L’occupancy rate, o tasso di occupazione, è una misura che permette di misurare in rapporto percentuale il numero di stanze vendute sul numero di stanze disponibili totale.

Perché partire proprio dall’abc?

Perché questo indicatore nella sua semplicità è in grado innanzitutto di darci una prima impressione di quanto stanno producendo gli investimenti fatti e i costi sostenuti mensilmente, settimanalmente o giornalmente per promuovere l’attività. In altre parole, questo indicatore dà in maniera veloce e sintetica un’immagine della capacità del marketing della struttura di convertire i clienti potenziali in clienti reali. Inoltre, analizzare questa percentuale in relazione a un’altra metrica importante come la durata di soggiorno (Los – Length of stay) permette di fare importanti valutazioni in termini di prezzo di vendita delle camere.

Tanto per intenderci, una struttura potrebbe registrare in un determinato periodo dell’anno un alto tasso di occupazione delle camere e un basso Los, oppure viceversa, un basso tasso di occupazione e una maggiore durata di soggiorno.

Quale delle due situazioni è la migliore? Dipende.

Nel primo caso abbiamo più persone che pernottano in struttura per meno tempo; ciò significa che a un maggior turnover corrispondono maggiori costi. D’altronde per ogni nuovo ospite bisogna pensare al tempo dedicato alle procedure di check-in e check-out, al riassetto e alla pulizia delle camere e a tutte le spese relative. Nel secondo caso, invece, abbiamo meno camere occupate ma i soggiorni dei relativi ospiti sono più lunghi. Se questo permette una riduzione dei costi rispetto alla prima situazione, è logico che, maggiore è il Los, minore diventa la capacità di una struttura di riparametrare le proprie tariffe per proporne di più alte a clienti nuovi.

Per massimizzare i ricavi che un hotel genera dalla vendita delle camere è importante prestare molta attenzione a questi due valori e aggiustare le tariffe di conseguenza, soprattutto alla luce del fatto che, secondo recenti ricerche di Booking.com, il 59% dei viaggiatori preferirà nel futuro vacanze più brevi ma pure, finestre temporali ridotte in cui vivere a pieno esperienze di divertimento e relax.

Oggi, la stragrande maggioranza degli hotel non si basa solo sulla vendita delle camere per generare entrate. Ad esempio, all’ospite possono essere proposti alcuni servizi specifici, come il servizio in camera. In questo caso, un indicatore che tiene parametrati anche i ricavi generati dalla vendita di questi servizi ancillari è l’ArPar, ovvero l’Adjusted Revenue Per Available Room.

A proposito di entrate extra, gli hotel hanno, ad oggi, tantissime opportunità per differenziare i propri ricavi. La ristorazione in hotel va fortissima in questo senso, che sia legata esclusivamente al breakfast o che abbracci anche altre occasioni di consumo, tanto da diventare un valore differenziante per una struttura ricettiva, anche per quelle che offrono un tale servizio non solo alla clientela interna ma anche esterna. Se poi in struttura sono presenti una spa oppure un centro congressi, le possibilità di generare revenue extra aumentano considerevolmente.

Oltre alla capacità di massimizzare il margine, dicevamo prima che è altrettanto importante trasformare lo stesso in liquidità. In questo caso l’indicatore da tenere sotto controllo è il ciclo del capitale circolante. Maggiore sarà il tempo di incasso dei crediti o maggiore sarà il tempo di giacenza in magazzino delle scorte, maggiore sarà il tempo in cui i flussi in entrata rimarranno in sospeso. Allo stesso modo, minore sarà il tempo in cui si dovranno pagare i fornitori, maggiori saranno le esigenze in termini di risorse economiche.