L’importanza delle competenze a fronte di un quadro critico in termini di personale qualificato. Intervista al direttore generale di Federalberhi, Alessandro Nucara.

Durante l’estate alberghi e ristoranti hanno denunciato difficoltà a causa della carenza di personale qualificato. Molti imprenditori raccontano di aver dovuto rinunciare a mettere in
vendita una parte delle camere o ridurre il numero dei coperti.

Il direttore generale di Federalberghi, Alessandro Nucara, affronta questo tema di grande attualità, su cui si sofferma dettagliatamente in un’intervista a Turismo d’Italia, dando così seguito al
servizio curato da Angelo Candido, pubblicato nelle pagine precedenti. Perché alberghi e ristoranti stentano a trovare collaboratori?

È uno dei grandi problemi con cui si stanno confrontando le imprese, non solo in Italia e non solo nel turismo. Ad esempio, la grande distribuzione organizzata denuncia difficoltà analoghe, per non parlare della sanità.
Non si tratta di una novità in senso assoluto, anche se la pandemia ha accelerato una tendenza che veniva da lontano. Più di venti anni fa, insieme a Hotrec, la confederazione europea delle imprese alberghiere e della ristorazione, presentammo i risultati di un’indagine sulle prospettive a medio termine del settore, e, già allora, emergeva che, secondo gli imprenditori, da lì a cinque anni il problema principale sarebbe stata la difficoltà di reperire personale qualificato

Quali sono le ragioni di questo fenomeno?

Nel 2001 il 16% della popolazione europea aveva 65 anni e più. Nel 2020 siamo saliti al 21%. In parallelo, è diminuita la quota di coloro che hanno meno di 20 anni. Ma il risultato non è a somma zero. Il nostro sistema di sicurezza sociale scricchiola sempre più sotto il peso dell’inverno demografico. E i settori come il turismo, che si rivolgono a una forza lavoro sostanzialmente giovane,
fanno fatica a trovare le nuove leve. Mentre si riduce l’offerta di lavoro, cresce la domanda.

Di per sé sarebbe una buona notizia: significa che il mercato tira. Cresce il numero di turisti nelle strutture ricettive, la spesa dei turisti stranieri in Italia, il fatturato nel settore. Quindi, servono
più lavoratori. Purtroppo, crescono anche le strutture abusive, che si sono diffuse a macchia d’olio negli ultimi anni, e spesso offrono posizioni di lavoro irregolari. In Italia ci sono 30mila alberghi ufficiali, che danno lavoro a più di 150mila persone. E poi sui portali troviamo 400mila strutture di altro genere, in cui all’Inps risultano solo 8mila occupati.

È evidente che alla fine i conti non tornano. Molto importante è anche il cambiamento degli stili di vita. Il lavoro nel turismo è impegnativo: si lavora il sabato e la domenica, di notte, durante le festività. Si lavora quando gli altri si riposano o si divertono, il che porta molti giovani a prendere altre strade. O, talvolta, nessuna. Con il paradosso dato dalla coesistenza di tanti posti di lavoro
vacanti e tanti disoccupati. È un dato di fatto di cui dobbiamo essere consapevoli.

Anche la stagionalità, che fornisce ai lavoratori la possibilità di lavorare solo in alcuni periodi dell’anno, costituisce un deterrente.

E il ruolo dell’istruzione?

Non va trascurata la scarsa considerazione sociale che il Paese rivolge ai percorsi di istruzione tecnica e professionale dedicati al settore. Non hai voglia di studiare? Allora vai all’alberghiero. Sono
tanti i genitori che si rivolgono così ai propri figli, e gli insegnanti delle scuole medie che lo dicono agli studenti. In Italia ci sono oltre 400 istituti superiori che si occupano di turismo.

Il che significa che ogni anno abbiamo circa 40mila nuovi diplomati, sui quali lo Stato ha investito. Ma spesso si tratta di giovani che sin dall’inizio del percorso scolastico avevano altri programmi. È uno spreco assurdo, sul quale occorre intervenire.

Cosa chiedete alle istituzioni?

Anche in questo caso, la risposta deve essere articolata. Non torno sul cuneo fiscale e sull’indennità di disoccupazione, di cui ho già parlato.

Nel nostro settore lavorano circa un milione e trecentomila persone, in gran parte occupati con contratti a tempo parziale o a tempo determinato. Si tratta di un grande contributo
all’economia, che spesso viene sottovalutato o sminuito. Quando un albergo assume due lavoratori stagionali, io vedo due posti di lavoro in più. Ritengo che lo Stato dovrebbe incentivare quelle assunzioni, o quanto meno trattarle al pari di tutte le altre.

Invece non di rado vengono considerate un problema. Mi sono sempre domandato perché l’Inps abbia un osservatorio sul precariato e non abbia un osservatorio sul lavoro nero. Chiediamo di allargare le maglie dell’immigrazione regolare. Per consentire l’ingresso in Italia di persone interessate a svolgere quei lavori che gli italiani non vogliono più fare. Chiediamo  regole semplici da capire e da applicare, con meno burocrazia. Ultimo, ma non meno importante, chiediamo di dare più spazio alla contrattazione collettiva, per consentire alle parti sociali di definire regole adatte alle esigenze e alle caratteristiche dei settori, dei territori, delle imprese e dei lavoratori.