Il settore Turismo, nel 2019, prima della pandemia, contava circa 1,3 milioni di lavoratori dipendenti a fronte di circa 200mila imprese con dipendenti in media d’anno.
Nel 2020, anno di piena pandemia, l’occupazione nel settore è scesa sotto il milione di unità, circa 950mila dipendenti in media d’anno. Nel 2021, sebbene nei primi mesi dell’anno vi sia stata una forte circolazione del virus e siano stati presi provvedimenti di restrizione delle attività, l’occupazione nel settore ha recuperato, riportandosi sopra il milione di dipendenti, ancora lontana, tuttavia, dai valori precrisi.
I recenti dati diffusi dall’Inps – che riguardano l’intera economia e si fermano a maggio 2022 – evidenziano un recupero sensibile dei valori dell’occupazione, conseguente al rimbalzo del prodotto interno lordo di questi mesi. C’è quindi una robusta domanda di lavoro a fronte della quale si registra un rallentamento dell’offerta di lavoro, segnatamente nel turismo. Questo
fenomeno ha costituito oggetto di un serrato dibattito a cui vogliamo portare un contributo basato sulle evidenze del settore.
Occorre innanzitutto rilevare che il problema dell’offerta di lavoro, nell’ospitalità e nella ristorazione, caratterizza in diversa misura da qualche lustro tutte le economie turistiche del continente europeo e le principali economie turistiche del mondo. Tuttavia, è con l’avvento della pandemia che la carenza di personale, ovvero la dinamica declinante dell’offerta di lavoro nel
settore turismo è diventata estremamente visibile, fino a diventare argomento di comune conversazione. Non è probabilmente possibile individuare una gerarchia delle cause del fenomeno, ma si può tentare di elencare quelle di maggiore impatto, cercando di portare argomenti a favore della scelta operata.
LE IPOTESI
Tra le cause strutturali del declino dell’offerta di lavoro nel settore va annoverata quella demografica. L’innalzamento dell’età media della nostra società riduce uno dei tradizionali bacini di approvvigionamento della manodopera del settore turismo: i giovani. In secondo luogo, c’è una diversa valutazione delle caratteristiche proprie del lavoro nel turismo: stagionalità, flessibilità oraria, possibilità di carriera.
Se fino a qualche anno fa quest’ultimo aspetto, l’acquisizione di una professionalità o la possibilità di cogliere un’opportunità di lavoro per chi era stato espulso da un altro settore rappresentavano valide motivazioni per intraprendere una carriera nel turismo, oggi prevale una valutazione più propensa a valutare nella flessibilità e nella stagionalità dell’attività elementi che influiscono negativamente sulla scelta.
In particolare, la stagionalità, che fornisce ai lavoratori la possibilità di lavorare solo in alcuni periodi dell’anno per svolgere in altri periodi attività diverse o
di cura rappresenta nell’odierna valutazione un elemento di forte penalizzazione.
CAUSA-EFFETTO
Venendo a cause meno remote, il prolungato ridimensionamento delle attività turistiche legato all’emergenza pandemica e alle misure di prevenzione della diffusione del virus Sars-CoV-2 ha fortemente penalizzato le professionalità del settore. I rapporti di lavoro stagionali e quelli a tempo determinato hanno subito uno stop importante, senza giovare, se non in misura limitata, di interventi di sostegno al reddito.
L’evidenza del settore ci dice che interruzioni dell’attività prolungate spingono la manodopera meno qualificata a rivolgersi ad altri settori in cerca di lavoro. Nello stesso periodo in cui l’attività turistica era limitata, abbiamo assistito a un boom della logistica e dell’edilizia, settori dove tradizionalmente vi è spazio anche per soggetti privi di una specifica qualificazione.
Il prolungato ridimensionamento delle attività turistiche ha inoltre trasmesso una immagine di precarietà dell’occupazione che ha spinto i lavoratori e gli aspiranti tali a rivolgersi verso altre attività. Non è infine da sottovalutare l’aspetto psicologico di chiusura che ha caratterizzato i primi mesi della pandemia, che ha spinto alcuni a ridimensionare le proprie aspettative e scelte di vita, propendendo per una occupazione meno “dinamica” ed “esposta” al contatto con gli altri rispetto al turismo.